SPUNTI DI RIFLESSIONE FRA LEGGE, GIURISPRUDENZA E PROFILI DI MODIFICA DEL CODICE URBANI

« Older   Newer »
  Share  
OldSilvano
view post Posted on 26/9/2011, 06:32 by: OldSilvano




Quale presupposto indefettibile, nell’esame dei problemi sottesi al collezionismo numismatico, va innanzi tutto chiarito un dato di fatto che, purtroppo, non tutti riconoscono come tale:

La legittimità del possesso di monete da parte di privati

Ed invero, a prescindere dal principio che, in funzione delle sanzioni amministrative e soprattutto penali, previste in materia, dal nostro ordinamento, vi debba essere una precisa disposizione di legge che espressamente preveda un fatto come reato (principio di legalità), e cioè che collezionare monete sia vietato, è dallo stesso dettato normativo che è lecito desumersi il contrario e cioè che il privato può senz’altro essere detentore, possessore e proprietario di monete e di collezioni.

E così:

Art. 1 comma 5 Codice Urbani: “I privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale sono tenuti a garantirne la conservazione”.

Art. 6 comma 3 Codice Urbani: “La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale”.

Art. 10 comma 1 Codice Urbani: “Sono beni culturali le cose… omissis… appartenenti …omissis… a persone giuridiche private senza fine di lucro…”

Art. 10 comma 3 lett. a Codice Urbani: “… omissis… appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1” (quindi i privati).

Sul punto autorevole dottrina (avv. Massimo Pasquinelli) già ha affermato che “Nel nostro paese non sono ancora vietati la ricerca culturale, la scienza, la lettura, lo studio e quindi il collezionismo; … omissis … dal momento che i collezionisti non vanno a scavare le monete. È palese che le posseggono per ragioni diverse (familiari, ereditarie, acquisite all’estero) o per averle acquisite da antiquari, da commercianti di numismatica, in aste.”

La stessa giurisprudenza ha più volte, anche implicitamente, riconosciuto il diritto del privato al possesso di monete (ed altri beni) ed inter alia si cita:

Tribunale Ragusa 677 del 6.12.06

Pretura Ragusa 392/96 e, nello stesso giudizio, Cass. Pen.III 7.6.99 n°7131

Cass. Pen. III 15.2.06 n° 13701

Chiarito, pertanto, il fondamentale punto di partenza circa la legittimità e liceità del possedere monete e collezioni, appare necessario delimitare i termini di una proprietà, possesso e detenzione leciti e, al contrario comportamenti penalmente rilevanti e come tali sanzionati.

***

Possesso ed obbligo di comunicazione all’Autorità

Innanzi tutto va chiarito se il collezionista abbia un obbligo giuridico di denunciare o comunque comunicare il possesso delle monete alla Pubblica Amministrazione.

Ebbene, ancora una volta, partendo dal dato normativo, va innanzi tutto chiarito che non esiste, nel nostro diritto positivo, alcuna norma che obblighi il privato collezionista a denunciare alle autorità il possesso di monete e che, parimenti, ne sanzioni, tantomeno penalmente, l’omissione.

In buona sostanza il proprietario, possessore o detentore di monete, non ha alcun obbligo di denunciare o comunicare a chicchessia il possesso della propria collezione. E, di converso, ovviamente, l’omessa denuncia o comunicazione non sono atti (rectius:omissioni) penalmente o amministrativamente rilevanti.

***

Trasferimento di proprietà, possesso o detenzione

Fatto ben diverso dal mero evento statico, quale è il possedere monete o una collezione, è quell’altro, dinamico, del trasferimento del bene medesimo, per atto di compravendita, per successione o altro.

E così il legislatore ha individuato in tale momento traslativo un obbligo a carico dei soggetti interessati:

All’art. 59 Codice Urbani vengono invero individuati i soggetti obbligati alla denuncia di trasferimento fra i seguenti soggetti:

n° 2 lettera a) alienante o cedente la detenzione, in caso di alienazione a titolo oneroso o gratuito o di trasferimento della detenzione;

n° 2 lettera b) acquirente in caso di esecuzione mobiliare o presso terzi o fallimentare o sentenza civile costitutiva del diritto;

n° 2 lettera c) erede o legatario

Da quanto sopra si evince un dato certo ed inequivocabile: tranne nella (rara) ipotesi di cui alla lettera b), il collezionista che acquista (e che, quindi, poi, possiede) non ha alcun obbligo di denuncia.

Sul punto già autorevole giurisprudenza del Supremo Collegio, per quanto vigente la normativa abrogata dal Codice Urbani, ma sostanzialmente in essa recepita, si è espressa in maniera univoca (inter alia Cass. Pen. III 7.6.99 n°7131) .

E questo anche, e vorrei dire soprattutto, nell’ipotesi di acquisti dall’estero, non ostandovi quanto contemplato dall’art.72 Codice Urbani, che prevede, solo la facoltà e quindi non l’obbligo, di domandare una mera certificazione dell’avvenuta spedizione in Italia.

_____________

L’individuazione dei soggetti obbligati alla denuncia di trasferimento ex art.59 Codice Urbani, tuttavia non esime dall’individuare la condizione che, al suo verificarsi, impone di assolvere tale obbligo.

Ed invero il Codice Urbani non impone l’obbligo di denuncia di trasferimento di beni culturali, sempre ed in ogni circostanza, ma piuttosto, per i privati, solo in presenza di un indefettibile presupposto amministrativo: Art.10 comma 3) Codice Urbani: la dichiarazione prevista dall’art.13.

La norma in questione appare di fondamentale importanza al fine di individuare l’oggetto della tutela, come previsto dalla legge.

A tal proposito va affermato il principio, per come voluto dal legislatore, che non può esistere nel nostro ordinamento un bene culturale che non sia espressamente individuato dalla legge come tale, ai fini della tutela prevista dalla legge. E, per quanto riguarda i privati, è necessario fare riferimento all’art. 10 n°3 e n°4 Codice Urbani.

Ed invero l’art.10, la cui rubrica si intitola “Beni culturali”, individua esattamente cosa e quali siano i beni culturali, oggetto della tutela.

Il n°3 subordina espressamente la qualità di bene culturale, per i “soggetti diversi da quelli indicati al comma 1” e quindi per i privati, al verificarsi dell’evento consistente nella dichiarazione prevista dall’art.13.

E’ lecito intendere, quindi, che, in assenza della dichiarazione amministrativa, il bene posseduto, la moneta, la collezione, non siano qualificabili come “bene culturale” e quindi, anche per i soggetti obbligati, non si applichi l’art.59 Codice Urbani.

In particolare, per quanto attiene le monete, il legislatore ha grandemente limitato la possibilità di procedere alla dichiarazione (non senza polemiche da parte di alcuni studiosi, singoli o associati) di interesse culturale, ex art.13, in quanto la Pubblica Amministrazione ha la facoltà di procedere solo nell’ipotesi contemplata dal n°4 lettera b), ove è previsto che non tutte le cose di interesse numismatico sono beni culturali, ma solo quelle che in rapporto all’epoca, alle tecniche ed ai materiali di produzione, nonché al contesto di riferimento abbiano carattere di rarità o di pregio anche storico.

E, sul punto, non può che concordarsi con la logica sottintesa, in quanto una cosa è possedere una Litra timoleontea e, ben altra un Tetradrammo di Eveneto!

_____________

Quanto sopra, e cioè la mancanza di un obbligo di denuncia di trasferimento, anche per il venditore, non esime il commerciante professionista, dalle ordinarie comunicazioni di Pubblica Sicurezza; ma questo, ovviamente non interessa i privati e riguarda quella branca del diritto amministrativo che regolamenta il commercio di cose di antiquariato, di cui vi è traccia nello stesso Codice Urbani all’art.63.

***

Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo stato

Le ipotesi di possesso di collezioni e del loro trasferimento vanno distinte dalle ipotesi di impossessamento illecito di beni culturali.

Va innanzi tutto fatta una premessa e cioè il fatto che, ai sensi dell’art.91 Codice Urbani, “tutte le cose indicate nell’art.10 ( e si noti che non vi è riferimento alla nozione amministrativa di bene culturale, per cui si prescinde dalla dichiarazione), da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato”.

Ne discende che, ai sensi dell’art.176 Codice Urbani “chiunque si impossessa di beni culturali indicati nell’art.10 appartenenti allo Stato ai sensi dell’art.91, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da €.31 a €.516,50”

E’ questa l’ipotesi che comunemente si chiama furto d’arte. E sul punto occorrono alcune considerazioni, specie perché, nei vari procedimenti penali, che hanno visto coinvolti parecchi collezionisti, è stata proprio questa l’ipotesi di reato.

Va, innanzi tutto chiarito che la condotta penalmente rilevante non è affatto quella di colui che -meramente- possiede monete, siano o non siano beni culturali, quanto, piuttosto quella di colui che “ si impossessa” a seguito di ricerche clandestine (tipicamente con metal detector), ma anche fortuite, delle monete o dei beni indicati in oggetto.

Sul punto la Giurisprudenza è univoca nel ritenere due dati fondamentali per la configurabilità del reato:

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art.176 non è sufficiente che l’imputato abbia tenuto un atteggiamento meramente passivo nei confronti dell’acquisita disponibilità del bene, atteso che il reato si perfeziona allorché l’autore abbia posto in essere un’azione a mezzo della quale abbia appreso la cosa, spostandola dal luogo in cui ritrovava in origine, per collocarla sotto il proprio dominio esclusivo (così Cass. Pen. III 15.2.06 n°13701); il che vuol dire, in buona sostanza che l’ipotesi di reato, a parte quella rara del rinvenimento fortuito ed occasionale, è quella classica del “tombarolo” che munito di attrezzatura specifica, effettua scavi alla ricerca di monete e se ne impossessa.

Il sistema, letto in aderenza ai precetti costituzionali (art.42 e art.24) non consente che venga posta a carico del cittadino la prova della legittimità del possesso di oggetti archeologici, ma è l’accusa che deve dare a prova dell’illegittimità del suo possesso (così Cass. Pen.III 7.6.99 n°7131 condivisa da Cass. Pen. III 2.7.04 n°28929 ed altre conformi); il che vuol dire che è l’Autorità Giudiziaria procedente, anche per mezzo della P.G. (Guardia di Finanza, C.C. Nucleo Tutela Patrimonio Archeologico) che, sulla base di situazioni di fatto, ed in primis la flagranza, quali le condizioni delle monete (es: cumulo di monete sporche di terra; ritrovamento di metal detector ed attrezzi da scavo, etc. etc.) ed il comportamento della parte (es: ingiustificata reticenza nel dichiarare la provenienza o peggio, il tentativo di fuga o di occultamento delle monete) deve dimostrare l’illiceità del possesso (rectius: dell’impossessamento).

Sulla base di siffatte considerazioni, appare chiaro che una cosa è il comportamento illecito del tombarolo, il quale, giustamente va perseguito, e ben altra quella del collezionista, il quale, nell’ipotesi di eventuale controllo delle autorità, mostra la propria collezione di monete; allega, o meglio ancora, documenta e comprova la provenienza, per mezzo di ricevute (anche virtuali, es: pagina- acquisto su portali del e.commerce, quali eBay), di scontrini fiscali e fatture e di dichiarazioni rilasciate dal venditore circa la legittima provenienza delle monete; o ne documenta, anche per dichiarazioni verbali (es. un parente) la provenienza per eredità o per donazione.

Mentre nel primo caso (tombarolo) ben può dirsi che sia integrata la fattispecie penale dell’illecito impossessamento, nel secondo caso (collezionista) ben può concludersi per la liceità del possesso.

***

Quanto sopra non esclude affatto una diversa ipotesi di reato, in quanto, ovviamente, la destinazione ultima e naturale dei beni archeologici di proprietà dello Stato, così come ritrovati, è quella del mercato antiquario e quindi il possesso da parte del collezionista.

In tal caso, a parte il caso del concorso nel reato di illecito impossessamento, che si configura quando il collezionista “conferisce l’incarico” della ricerca delle monete o di altri beni, in quanto si parlerebbe di “mandante”, ben potrebbe integrarsi il diverso e, più grave, reato di ricettazione o di incauto acquisto.

A dire del vero quasi mai l’A.G. ha proceduto per tale ipotesi di reato. Ma tant’è: il collezionista che, conoscendo il proprio dante causa, quale “tombarolo” e quindi avendo coscienza e volontà di acquistare da chi si sia impossessato illecitamente di monete, senz’altro commette il reato di ricettazione.

Così come si commetterebbe il reato contravvenzionale di incauto acquisto, quando, per colpa, si sia omesso di verificare che le monete non siano di provenienza illecita, sulla base di alcuni elementi, quali il prezzo (molto al di sotto del valore di mercato) e le modalità stesse dell’acquisto (es:acquisto sottobanco).

Proprio per scongiurare tali fattispecie è opportuno che il privato collezionista trattenga e custodisca tutta la documentazione attinente l’acquisto delle proprie monete, in quanto la semplice produzione di tale documentazione è senz’altro idonea a scongiurare il gravissimo pericolo di essere incriminati di tali gravi reati.

***

Così stando, almeno per sommi capi, le questioni attinenti il possesso ed il trasferimento dei beni numismatici, tuttavia, anche in considerazione di una maggiore tutela del patrimonio culturale (latu sensu, e quindi anche non dichiarato) e per decapitare ogni velleità persecutoria da parte di un malinteso senso del dovere, sarebbe opportuno considerare alcune ipotesi di modifica, in parte qua, del Codice Urbani. Sul punto vedasi, nel vigore della precedente legislatura “Atto del Governo sottoposto a parere parlamentare n° 594 Senato della Repubblica”
 
Top
0 replies since 26/9/2011, 06:32   198 views
  Share